Che fine ha fatto CoContest?

Dopo le polemiche dell’anno scorso, il silenzio… Ma la piattaforma continua a funzionare, con un nuovo nome (e un mercato più ampio).

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(di M. Brambilla) Che fine ha fatto CoContest? Dopo la grande attenzione mediatica dello scorso anno per questa piattaforma dedicata a concorsi di interior design, basata sul crowdsourcing e lanciata da tre italiani, da alcuni mesi le bacheche dei miei social network hanno smesso di parlarne ed è difficile reperirne news recenti in rete: eppure l’argomento resta di grande interesse. Che fine ha fatto, dunque? Ad una certa parte del mondo dell’architettura italiana forse non farà piacere sapere che continua prosperamente a funzionare.

Non ne sentiamo più parlare intanto perché non si chiama più CoContest. La formula non è cambiata, ma il nome sì: ora è GoPillar, e Alessandro Rossi, uno dei tre fondatori di questa startup insieme a Federico e Filippo Schiano di Pepe, non nega che questa nuova identità risponda alla necessità di prendere le distanze dalle precedenti polemiche. Quali polemiche? Architetti.com ne ha parlato a suo tempo e ha pubblicato in seguito un’intervista di chiarimento a uno dei fondatori del sito. Ma facciamo qualche passo indietro per chi non conosce l’argomento.

CoContest / GoPillar, di cosa si tratta

CoContest – ora GoPillar – è una piattaforma online a tema interior design in cui si incontrano due categorie di interlocutori: i potenziali clienti, che propongono concorsi di progettazione sui propri immobili, e i designer che – una volta iscritti – accettano la sfida presentando la propria idea progettuale a risoluzione del concorso. Il cliente sceglie il vincitore in un podio da primo a quinto posto: i primi cinque classificati ricevono un premio economico – da fatturare regolarmente – che varia a seconda della complessità del contest e della quantità di elaborati richiesti.

Le categorie di concorso previste sono Residenziale (dalla singola stanza all’intera casa), Commerciale (uffici, negozi, ristoranti) ed Esterni (terrazze, piscine, giardini); all’interno di queste il cliente può scegliere il tipo e la quantità di elaborati grafici che intende ricevere, personalizzando a piacere il pacchetto base (che comprende solo pianta arredata e quotata e una descrizione dettagliata), e andando così a comporre il il costo finale del progetto.

Alla fine del concorso il cliente riceve i contatti dei primi designer classificati e potrà così decidere di conferirgli l’incarico per la progettazione esecutiva e la realizzazione. Avviene davvero questo ultimo passaggio fuori dalla piattaforma? Alessandro Rossi dice di sì, nel 28% dei casi. Quando non avviene, l’idea progettuale è stata comunque pagata, cosa che nella professione offline non capita molto spesso.

CoContest / GoPillar, le polemiche

Dicevamo, le polemiche. Mentre all’estero la startup ha ricevuto finanziamenti ed elogi, in Italia Ordini professionali e Consiglio Nazionale degli Architetti si sono schierati contro CoContest/GoPillar, arrivando a sospendere Filippo Schiano di Pepe dal suo Ordine, chiedendo all’Antitrust di aprire un procedimento per concorrenza sleale, fino ad arrivare ad un’interrogazione parlamentare al Ministero dello Sviluppo Economico, con grande clamore e conseguente pubblicità negativa per il sito.

Come sono andate a finire queste procedure disciplinari? La sospensione dall’Ordine si è conclusa senza seguito, l’Antitrust non ha aperto nessun procedimento, e all’interrogazione parlamentare non è seguita nessuna risposta. “Di queste conclusioni a nostro favore però” – mi dice Alessandro – “la stampa non ha parlato e il nome del nostro sito non è stato riabilitato, tanto che abbiamo sentito la necessità di un rebranding e del conseguente cambiamento di nome. Ad esso è seguito il lancio della nuova versione della piattaforma, con grafica nuova e user experience modificata, rivolta in particolare al mercato americano, e non più incentrata unicamente su quello italiano com’era – forse ingenuamente – il nostro obiettivo iniziale”.

Questo ha certamente comportato un grosso impegno economico. Si pensi per esempio anche al danno dell’investimento fatto sui social network: con il cambiamento degli account social si è passati per esempio dai più di 67000 like della pagina Facebook CoContest ai meno di 3000 like di quella di GoPillar. Tutto da rifare sul quel fronte.

Quali erano gli argomenti che hanno fatto sollevare Ordini degli Architetti e CNAPPC contro la piattaforma?

  1. La denigrazione della categoria professionale: CoContest/GoPillar fa apparire il “sistema tradizionale” – rivolgersi allo studio di un professionista – un processo lento, caro, con un punto di vista limitato (non a caso si è scelta la figura di una persona anziana a rappresentare l’architetto nello spot originale di CoContest).
  2. L’ambiguità del servizio offerto: cosa si compra sul sito? Spesso solo un’idea progettuale, e non un progetto esecutivo pronto per essere realizzato: ma il cliente lo sa?
  3. La mancanza di garanzie sulla professionalità dei progettisti iscritti: al momento dell’iscrizione al sito si autocertifica la propria qualifica scegliendo da un menù a tendina.
  4. Lo schiavismo al quale sarebbero costretti i progettisti che non vincono, perché lavorano senza essere pagati.
  5. La scarsa qualità dei progetti presentati.

Per Alessandro Rossi questo è stato un boicottaggio portato avanti scientemente: non si era contrari a questo tipo di iniziative, e lo dimostra il fatto che l’Ordine di Milano ha successivamente proposto una propria piattaforma istituzionalizzata di concorsi, ConcorriMi, dove Comuni e altri Enti parapubblici diventano i banditori dei concorsi, i vincitori vengono scelti da una giuria nominata, e l’Ordine si pone come arbitro.

Secondo Alessandro, questa tendenza ad istituzionalizzare tutto è la rovina del mercato italiano: “Perché il mercato dell’architettura italiano è obsoleto? Perché non c’è un reale incontro fra domanda ed offerta: i servizi offerti dagli architetti non nascono da una vera richiesta della domanda, ma da una necessità imposta per legge, dal dover presentare una SCIA, una CILA, etc. firmata da un professionista. Non è un mercato sano. Noi vogliamo riavvicinare il cliente alla progettazione, vogliamo lavorare con l’architetto medio italiano, che non si occupa di grandi interventi, ma del tipo di progetti proposti dai nostri concorsi. La cultura del web è l’unico mercato in crescita ed è a quello che gli architetti italiani devono rivolgersi. Ma le startup innovative in Italia hanno vita difficile: esemplari sono i casi di Uber e di Gnammo”.

CoContest / GoPillar, i numeri del rilancio

CoContest riparte da GoPillar, quindi, e lo fa con il super finanziamento da un milione di dollari da parte del fondo americano Draper Associates, arrivato a settembre del 2016. Qualche dato statistico per raccontare come stanno andando le cose.

I progettisti iscritti ad oggi, provenienti da 92 Paesi, sono 54000; di questi il 25% sono italiani. La percentuale di italiani sale al 35% se si considerano i soli progettisti attivi, cioè quelli che partecipano ad almeno due contest all’anno. Di questi progettisti attivi il 70% è composto da architetti, il resto da interior designer, geometri e altri progettisti non meglio identificati. L’età media degli attivi sul sito è di 43 anni: sono di più gli over 50 rispetto agli under 30, ed anche questo è un dato significativo.

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Il premio medio per contest corrisponde a 850 euro per il primo designer classificato e a 50 euro per il quinto, per una mole di lavoro che comporta in media l’impegno di tre giorni (che varia anche a seconda della praticità con gli strumenti digitali e con la padronanza di render e 3d).

Nel 2017 l’ammontare dei premi distribuiti sarà di mezzo milione di euro, non in crescita, ma in pari con il 2016, a causa della flessione registrata nei primi sei mesi dell’anno dopo il rebranding. Nel periodo compreso tra il 2012 e il 2016 CoContest ha registrato annualmente una crescita del 120%, che in questa seconda metà dell’anno sembra andare a riconfermarsi.

Le polemiche hanno quindi creato un danno strutturale alla piattaforma e ne hanno rallentato – si pensa temporaneamente – la crescita, ma GoPillar continua il suo cammino. “Siamo aperti alle critiche e riconosciamo di avere dei limiti, che cerchiamo di smussare ascoltando i consigli dei designer che usano la nostra piattaforma, grazie per esempio al dialogo che avviene tramite la pagina Facebook CoContest Designers“.

Che cosa è stato modificato seguendo questi consigli? Per esempio si è data la possibilità agli architetti italiani iscritti agli ordini professionali di certificare il proprio profilo come “Master Designer”, evidenziando la loro qualifica fra gli altri progettisti. Si è cercato poi di livellare la concorrenza “sleale” dei designer di paesi emergenti che, a parità di premio finale, potevano permettersi di lavorare di più, realizzando per esempio più render che andavano ad influenzare la scelta del cliente. O ancora si è cercato di rendere il cliente italiano edotto del fatto che i designer stranieri, in alcuni casi, non perdono tempo a studiare la complicata normativa locale italiana sulla progettazione, che deve quindi essere in seguito verificata.

Personalmente non ho mai provato a partecipare ad un concorso di GoPillar, anche se mi incuriosisce, probabilmente perché non ho grandi doti da renderista, qui fondamentali. Ho però dirottato sulla piattaforma persone che mi chiedevano dei consigli progettuali di interior design che sapevo mi avrebbero fatto perdere tempo e non mi avrebbero portato lavoro: si sono divertite e si sono dette entusiaste delle idee progettuali ottenute. E soprattutto le hanno pagate: e questo mi sembra già un ottimo risultato.

Articolo di Marta Brambilla, originariamente pubblicato su Architetti.com

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